Lo dichiaro subito: Bhaktapur è il posto che mi è piaciuto di più in Nepal, e siccome ho amato moltissimo questo Paese, ho detto tutto: è un tuffo in una capitale di 400 anni fa ancora simile a come doveva essere, vivissima non solo nei suoi splendidi monumenti, ma nelle sue case antiche, nelle botteghe artigiane, nei suoi mercati.
“Le tre antiche capitali si assomigliano, vista una piazza Durbar viste tutte”, cerca di consolarmi la guida per il poco tempo che mi è rimasto per la visita della valle di Katmandu a seguito dei vari ritardi aerei. Dissento, pur così vicine e con una storia simile, Katmandu, Patan e Bhaktapur hanno ciascuna un’anima diversa che le caratterizza e le rende uniche.
Solo 12 km separano Bhaktapur da Katmandu, ma è un viaggio di un’ora e più a causa del traffico. Ciò che annuncia l’arrivo sono campi di…mattoni. L’argilla qui è ottima per la costruzione di mattoni, che vengono lasciati ad asciugare distesi sul suolo in sterminate distese grigie, poi accumulati in pile ordinate, quindi cotti negli appositi forni.
CHANGU NARAYAN
Prima di entrare in Bhaktarpur mi fermo ad una ventina di minuti di distanza, oltre un bosco di pini, su una collina a nord della città, a visitare il sito monumentale di Changu Narayan, il tempio più antico del Nepal, risalente al 3° secolo d.C., un luogo enormemente suggestivo, patrimonio Unesco, ai cui piedi è il villaggio di Changu, anch’esso tra i più antichi del Paese.
Il tempio è sacro a Vishnu, chiamato dagl induisti Narayan e dai buddhisti Hari Hari Hari vachan Lokeshwor, in quel sincretismo tra le due religioni che è tipico del Nepal. Se si chiede ad un abitante della valle di Kathmandu se sia induista o buddhista, spesso la risposta è entrambi.
Il tempio ha subito danni dal terremoto ma qui mi sono davvero commossa a vedere i maestri artigiani scolpire sul luogo, per terra, con incredibile bravura, travi di legno e di pietra per il loro tempio. Anche le case di Changu sono state ricostruite con le stesse tecniche, con portoni e finestre di legno cesellati se possibile con ancora maggior bellezza.
Il tempio ha un’atmosfera speciale, emoziona perchè trasuda antichissima storia e devozione. Ai quattro lati del tempio-pagoda a due piani, tutto riccamente istoriato con le 10 incarnazioni di Vishnu, sono poste coppie di animali di pietra col ruolo di guardiani: leoni, elefanti, grifoni, sarhabas (una specie di sfinge alata con la faccia da drago cinese).
Questa foto però è troppo carina. Qualcuno gioca a fare il guardiano insieme ai suoi antenati di pietra…
Da una parte del tempio sono piantate al suolo delle steli; passano inosservate se non si conosce il loro valore storico: recano complesse iscrizioni in sanscrito, e sono le più antiche scritte della valle di Kathmandu.
Ci sono delle belle statue antichissime e tutte rosse del colore sacro in quanto ancora oggi oggetto di culto. Tra queste la statua di Garuda, devoto di Vishnu, e veicolo dell’uomo per il dio. Vi sono le effigi del re Malla e della regina, coloro che rinnovarono il tempio nel 17mo secolo, anche esse a tutt’oggi oggetto di venerazione.
Infine ci sono la statua del 7mo secolo di Chanda Narayan, unica testimonianza di tutta la valle di Kathmandu del periodo Lichavi, che compare sulla banconota da 10 rupie, e la statua di Sridhar Vishnu del 9° secolo.
BHAKTAPUR: Durbar Square
Ed eccomi a Bhaktapur. Mi dirigo subito verso la Durbar Square, ormai ho imparato che nelle tre capitali è quello il cuore delle città. Ma questa di Bhaktapur…non potete immaginarvi quanto è bella, da sindrome di Stendhal! Per la sua ricostruzione dopo il terremoto c’è voluta una spesa da capogiro, 293 milioni di rupie, ma ora la piazza è tornata al suo splendore. Dovunque ci si gira si scorgono palazzi, templi, una concentrazione di monumenti da capogiro.
Il palazzo reale era originariamente costituito da ben 99 edifici, ma oggi ne rimangono 5, di cui diversi puntellati per i danni del terremoto. Da un lato si trova la Porta d’Oro, sormontata da una statua della dea Kali e del grifone Garuda, e tutto intorno dei, mostri e demoni, un lavoro complesso e bellissimo.
A fianco è il Palazzo delle 55 Finestre, del XV-XVII secolo, con le sue finestre splendidamente intagliate nel legno scuro, come nella tipica architettura newari; è rimasto quasi intatto in mezzo alla distruzione del terremoto.
La porta dei leoni è anch’essa un’opera maestosa, e la leggenda (ma è leggenda sentita molte altre volte e spesso abusata) vuole che agli artigiani che l’avevano costruita il re avesse fatto mozzare le mani perchè non potessero replicarla altrove.
Su un monolite di pietra si trova a la statua dorata del re Bhupalinda Malla, in preghiera.
In mezzo alla piazza sorgono moltissimi templi di diverse forme; mi limito a citare quelli che mi hanno impressionato maggiormente.
Di fronte al palazzo i è il mini Tempio di Pashupati, della seconda metà del 1400, il più antico della piazza, a forma di pagoda.
I 4 templi di Char Dham furono ricostruiti sul modello di 4 grandi templi indiani, per i pellegrini che non potevano pagarsi il viaggio sino a lì. Beh direi che il flusso si è invertito, e quasi tutti i turisti qui in Nepal provengono dall’India.
Il Vatsala Mandir è stato quasi del tutto distrutto dal terremoto del 2015, ed è ancora in ricostruzione. Sotto le impalcature di canne di bambù se ne intravedono già le slanciate belle forme di pietra arenaria.
Il Tempio di Siddhi Laksmi è molto scenografico, perchè alla sua base vi è una lunga scalinata ai cui lati vi sono statue di guardiani intervallati da diversi animali simbolici come leoni, cavalli, rinoceronti, cammelli.
Piazza Taumhadi
Tutto il centro storico di Bhaktapur è pedonale ed è davvero una meraviglia passeggiare nelle sue strade contornate da splendidi palazzi newari dove l’arte nepalese dell’intaglio ligneo raggiunge le sue massime vette nei ricami di travi, porte e finestre; non per niente qui le botteghe artigianali dei maestri ebanisti vedono dei piccoli capolavori in legno che riproducono i più famosi elementi architettonici dei palazzi antichi.
Mentre sono con il naso in su per ammirare i palazzi di una via che si diparte da Piazza Durbar, all’improvviso mi ritrovo in un’altra piazza da capogiro, la Piazza Taumhadi.
La piazza è dominata dal tempio più famoso di Bhaktapur, il Tempio di Nyatapola, che svetta alto con i suoi oltre 30 metri, ma che ora è tutto ingabbiato dalle impalcature sotto le quali si lavora sodo per il suo restauro dopo il terremoto, da cui però è uscito quasi del tutto integro. Del resto il tempio, costruito con grande tecnica e buoni materiali, aveva egregiamente resistito all’altrettanto devastante terremoto del 1934.
Il tempio di Nyatapola fu costruito nel 1702, e doveva essere l’espressione della grande potenza del re; un’epoca di grande fioritura artistica nel subcontinente indiano, se si pensa ad es. che contemporaneamente nella vicina India si stava costruendo il Taj Mahal. Sette fabbriche di mattoni furono aperte per realizzarlo, e pietre pregiate furono importate per sua maggior bellezza rispetto all’uso della pietra locale fatto per gli altri templi.
E’ costituito da 5 piani di pagoda, su un’alta scalinata ai cui lati sono le figure dei protettori del tempio. Al suo interno, a cui possono accedere solo i preti indù, è la figura dall’aria terrificante della dea Siddhi Lakshmi.
Nella stessa piazza sorge il Tempio di Bhairava Nath, dedicato ad un’incarnazione di Shiva, Davanti al tempio sono due colonne con dei leoni in ottone che reggono la bandiera nepalese. Da qui in occasione del capodanno nepalese, che si svolge ad aprile, e che è la principale festività qui a Bhaktapur, parte la sfilata di un carro dedicato a Bahirava, le cui ruote ed alcune parti si conservano tra le pareti del tempio.
La piazza è straordinariamente viva, con i suoi palazzi e le sue botteghe piene di tutti gli oggetti di artigianato che si possano immaginare , i templi con gli operai e gli artigiani incessantemente al lavoro per il restauro, una marea di gente che va e viene ed il mercato di frutta e verdura, teli stesi per terra che espongono coloratissimi prodotti della terra venduti da altrettanto coloratissime donne. Mi si avvicina una ragazzina per chiacchierare, mi racconta che l’anno prossimo andrà in Europa a studiare per diventare dentista, e vuole testare la sua capacità di conversare in inglese; le dico che probabilmente in Europa (in Svizzera!) le mancherà tutto questo colore.
La piazza dei vasai e gli altri artigiani di Bahktapur
La piazza dei vasai è un altro gioiellino di vita reale quasi fuori dal tempo in un contesto di bei palazzi antichi. Qui i vasai espongono in fila per terra su stuoie di paglia, a perdita d’occhio, le loro merci finite e i semilavorati di argilla grigia ancora da cuocere. Alcune hanno un colore rossastro perchè pigmentate prima della cottura affinchè acquistino un colore più forte.
Ma questa piazza è il centro di tutto un quartiere dove i vasai lavorano nelle loro botteghe la creta molle con le loro dita sapienti che corrono su e giù sopra i torni azionati manualmente, quindi staccano il vaso dalla ruota con un sottile filo che lo taglia di netto dalla materia residua; poi ci sono i forni dove i vasi vengono messi a cuocere, strati di creta lavorata su strati di paglia che bruciando rende il calore uniforme; è una tecnica millenaria, sopra e sotto questa sorta di pira vengono praticati dei buchi per far passare l’aria che consente la combustione e tutto intorno viene posta della cenere che copre tutto., Il processo nei forni dura diversi giorni, la qualità di questa terracotta a cottura lenta è ottima.
Tradizione antichissima è anche quella della produzione della carta a mano dalla corteccia della lokta.
In questa città dove buddhismo e induismo si fondono così profondamente, ci sono i pittori dei famosi thangka, dipinti a mano su cotone e seta che riprendono immagini del Buddha e motivi di mandala, tanto più ricchi di dettagli e colori quanto maggiore è l’abilità dell’artista. E’ insieme un esercizio spirituale ed un processo creativo che assurge a volte ad alti livelli d’arte, anche se lontana dai canoni occidentali.
Poi ci sono gli artigiani che producono strumenti musicali tradizionali, come i lunghi fiati fatti per risuonare a distanza tra le valli, a volte decorati con elementi di facce grottesche, di quei demoni così radicati in questa cultura e rappresentati anche dalle coloratissime maschere dagli occhi spiritati e dalle bocche spalancate, da appendere al muro per protezione.
Ci sono anche i maestri coltellai che producono i temibili coltelli ghurka dalle affilate lame, che furono usati durante la prima e la seconda guerra mondiale da questi famosi guerrieri, le cui gesta ho potuto conoscere nel museo di Pokhara.
Insomma, la guida deve letteralmente trascinarmi via dalle strade di Bahktapur, ma secondo me bisognerebbe restare almeno due giorni in questa città per potersi disfare da quel senso di capogiro che prende alla vista di quella distesa di templi e monumenti, che nella memoria finiscono per mischiarsi un po’ tutti, anche se resta il senso di un grande bellezza.
E servirebbe più tempo anche per esplorare oltre la facciata, aggirarsi nel dedalo di viuzze che intersecano quelle principali e in cui ancora più forte è l’apparente antinomia tra i fasti degli antichi palazzi e l’essenzialità della vita povera ma dignitosissima degli abitanti di Bhaktapur dei nostri giorni.
Il Nepal è da un po’ nella mia lista, ormai interminabile, di luoghi che vorrei vedere. Spero di poter riprendere a viaggiare presto per andare alla scoperta di questi luoghi meravigliosi.