Capodistria, dove anche le pietre parlano veneziano

Capodistria un tempo era un’isola, separata dalla terraferma dalla laguna di Valstagnon, ma nel corso del 1800 le acque paludose sono state bonificate ed è diventata un promontorio che si affaccia panoramico sull’omonimo golfo.

Guardandola dal mare si capisce subito, fin dal campanile veneziano che spicca da lontano tra i tetti di coppi, di che pasta è fatta Capodistria: come tutta la penisola istriana, questa cittadina è sempre stata legata alla storia di Venezia, e la sua popolazione era fieramente italiana; prima ancora di Venezia, del resto, Capodistria era stata colonizzata dai cittadini romani di Aquileia in fuga dalle invasioni longobarde.

Quando alla fine della seconda guerra mondiale si aprì il triste capitolo delle vendette contro gli italiani e delle foibe e Capodistria fu inclusa nella zona B del territorio Libero di Trieste assegnato alla Jugoslavia, si avviò un processo mirato di slavizzazione dei territori; metà degli italiani andarono in esilio da subito, l’altra metà dopo il 1954, quando apparve chiaro che l’Istria non sarebbe mai più tornata all’Italia.

Oggi Capodistria è diventata Koper, poco più del 2% della popolazione di Capodistria è italiana, ma l’italiano è ancora molto parlato e compreso generalmente da tutti, forse un po’ meno dai giovani. Ma ancor più delle persone, sono le pietre che qui parlano italiano, nelle stradine strette in cui alzando gli occhi ogni tanto si incappa in un leone di San Marco, nei campi e campielli, negli stemmi sui portoni, nei palazzi veneziani.

Il centro storico, completamente pedonalizzato, è piccolino e si gira senza troppa fatica in una mezza giornata, dopo aver lasciato l’auto in grandi parcheggi appena fuori dalla porta monumentale di accesso, la porta Muda, unica superstite delle 12 porte medievali realizzate nella doppia cinta muraria che proteggeva l’antica Capodistria. In cima alla porta è il sole splendente, simbolo della città.

Subito si incontra piazza Preseren (intitolata ad un poeta sloveno), dove si trova la fontana Da Ponte, che è una piccola riproduzione del Ponte di Rialto a Venezia, della metà del 1600, circondato da 15 pilastri ciascuno con il nome di una famiglia che contribuì alla sua costruzione.

Poi ci si può perdere  nelle stradine che hanno tanti negozi di artigianato o ristorantini che servono i cibi tipici sloveni; basta andare in leggera salita per arrivare prima o poi nella piazza principale.

Il cuore di Capodistria è Piazza Tito (eh sì, è caduta la Jugoslavia e il comunismo ma il nome è rimasto), una bomboniera veneziana che più veneziana non si può, dominata dal Palazzo Pretorio, merlato e bianco di tipica pietra istriana. Le città hanno tutte un loro colore, quelle dell’ Istria hanno il bianco e il contrasto con i coppi dei tetti.

Nella piazza si trovano anche altri eleganti edifici storici, tra cui la Loggia, sotto la quale trova oggi posto un caffè dai cui tavolini di può godere di una bellissima veduta mentre ci si rilassa in po’. Sulla facciata della loggia sono scolpiti degli stemmi cavallereschi e su un angolo c’è una statuina di terracotta della Madonna, posta lì come ringraziamento per la fine della pestilenza.

Vi si affaccia anche la cattedrale dell’Assunta e di San Nazario, con il suo alto campanile che si offre ai più sportivi per l’ascensione, l’interno presenta forme barocche ma è niente affatto carico.

All’angolo con una delle vie di accesso alla piazza troviamo un’altra antica curiosità di tradizione veneziana: la “bocca del leone”, buca delle lettere per le delazioni anonime, con scritta che incitava a fare la spia, soprattutto per contrastare i contraffattori, in un’economia dove il commercio leale era la base dell’ordine pubblico.

Da qui si può in pochi minuti  arrivare a guardare il mare dall’alto, dove attraccano le grandi navi da crociera, oppure scendere giù a passeggiare in via Kidriceva fino al porto, prima del quale si incontra Piazza Carpaccio, dal nome del pittore che qui visse, e di cui nella città si trovano diverse opere.

Sulla piazza sorge ancora Casa Carpaccio, mentre dal lato che dà sul mare si trova l’antico edificio  della Taverna, dalle grandi arcate sotto cui un tempo venivano stoccati i preziosissimi carichi di sale. In mezzo alla piazza sorge la Colonna di Santa Giustina, eretta da Venezia in  onore della vittoria della battaglia di Lepanto. Nella piazza si trova anche un’ara votiva romana.

Da qui inizia la piacevolissima passeggiata del lungomare, lungo la quale sono stati piantati alberi e poste panchine per la sosta, e si incontrano punti di ristoro vari.

Da Capodistria in pochissimo tempo si può arrivare a Portorose, che è la località balneare più nota dell’ Istria, con tante spiagge attrezzate e un po’ iperaffollate, o la deliziosa Pirano, altro gioiellino veneziano sul mare dove gustare ottimo pesce. Oppure si può proseguire verso l’ interno della Slovenia, in direzione grotte di Postumia  e Lubiana. Qualunque via si scelga non si rimarrà delusi.

10 thoughts on “Capodistria, dove anche le pietre parlano veneziano

  1. Ho letto molto interessata perché non sono mai stata in questa zona, anche se alcune foto mi ricordano certe passeggiate che ho fatto più giù, in Croazia. L’immagine delle pietre che parlano italiano è bellissima! Che strana (per il nome) la piazza Tito, che bella la bocca di leone, che piaga le navi da crociera! (Spero sempre che prima o poi venga impedito loro l’accesso ai porti dell’area, sono navi enormi e inquinanti e deturpano…)

  2. Quei pezzi di ex Jugoslavia (come Pirano, in Slovenia) sono meravigliosi proprio per raccontare la storia della Serenissima. A me piace un sacco quel pezzo di mondo.

  3. Vedere il Leone di San Marco mi fa capire ogni volta quanto la Serenissima fosse grande ed estesa. Abito a Bergamo e sono molto legata a questo simbolo e a Venezia.

  4. Le foto e il racconto riguardo a questo piccolo borgo mi hanno incuriosita parecchio! Mi piacerebbe esplorare meglio queste zone 🙂

  5. Non sono mai stata a Capodistria e questo tuo articolo, arricchito da queste belle immagine, mi ha invogliato a visitarla. Da aggiungere assolutamente alla lunga lista di posti da visitare

  6. Ci sono stata molti anni fa, dalle foto è profondamente cambiata. Spero di poterci tornare presto per vedere di persona i cambiamenti. Metto in agenda e segno i tuoi suggerimenti 🙂

  7. Capodistria, la mia città natale abbandonata nel 1956. Piazza “Tito”? che dire, una vergogna che il nostro simbolo si chiami ancora così!

    1. E’ vero, non ci sono altre parole. E’ uno schiaffo agli italiani infoibati, ai moltissimi esuli, a chi è rimasto e ancora oggi non può fare pace con quel passato terribile sbattuto in faccia ancora nella toponomastica.

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