Civita, blog tour nel borgo arberesh nella riserva naturale delle gole del Raganello

Vi racconto la mia esperienza nel blog tour “le 7 meraviglie di Civita”, che mi ha permesso di scoprire questo antico paese nel cuore del Parco del Pollino, nella riserva naturale delle gole del Raganello, che mantiene nei secoli intatta la sua identità di cultura arberesh. Un luogo unico, una natura superba, e una grande idea di riscoperta della modernità della vita nei borghi. 

Perchè Civita

Ho partecipato al blog tour “Le 7 meraviglie di Civita” principalmente per tre motivi:  per la fama di bellezza del Pollino, per l’interesse per l’unicità culturale della tradizione arberesh di Civita, e per l’idea di turismo sostenibile e solidale sposata dagli organizzatori del blog tour, che condivido pienamente e che andrebbe esportata a tante piccole realtà del nostro Paese.

Ma andiamo con ordine. Non so se voi conoscete Civita, io non avevo mai sentito parlare di questo comune di  nemmeno 1000 abitanti e ciò aumentava la mia curiosità e la mia ammirazione per una comunità così piccola in grado di ideare e realizzare senza finanziamenti pubblici, con le sole forze di un gruppo di abitanti sognatori e innovatori, quasi tutte donne, un blog tour per promuovere un luogo che, a posteriori, posso dirvi che è assolutamente da scoprire per innamorarsene, come è successo a me.

 

Provate ad immaginarvi sulle ali di un’aquila, libratevi alti in volo ed abbracciate con l’occhio  la Calabria, lo splendido Parco del Pollino, poi tuffatevi dalle pareti rocciose a picco sulle gole di Raganello, risalite per verdi declivi odorosi di fiori e di tante specie di erbe, sorvolate i camini del borgo antico, le case di pietra cariche di storia, e atterrate sulla via d’ingresso di Civita.

Ecco, qui proprio un monumento in pietra di un’aquila vi accoglie nel borgo, e non c’è nessuna retorica nella scelta del simbolo, ma due fatti molto concreti che legano il re dei rapaci a Civita.

Il primo è che l’aquila reale vola sulle cime che sormontano il paese ed è possibile per i più audaci spingersi fino alle altezze dove nidifica.

Il secondo è che l’aquila d’Albania è particolarmente cara alla popolazione di Civita, che è una comunità della minoranza albanese rifugiatasi in Calabria in fuga dalla madrepatria invasa dai turchi alla fine del 1400.  Qui la nipote dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scandenberg, che nel murale qui sopra vediamo ritratto in combattimento, sposò il principe Sanseverino, e la comunità albanese aumentò di numero con nuovi afflussi dalla Puglia.

L’appartenenza di Arberia

Il territorio abitato dalle comunità albanesi in Italia è chiamato Arberia,  intesa come Albania antica (i civitesi sono e si sentono discendenti degli illiri). La comunità di Civita,  a causa del suo relativo isolamento, ha mantenuto nel tempo intatta la purezza della lingua albanese, del rito religioso e delle tradizioni, tramandate soprattutto oralmente, ancor più che l’Albania contemporanea.

Questo senso di fortissima appartenenza ha tenuto gli abitanti di Civita uniti generazione dopo generazione, ma un grande rischio di perdita della propria identità incombe ora sul paese. Infatti nel corso del secolo scorso, come mi raccontava un civitese, i cambiamenti sociali sono stati molto più forti che in tutti i secoli precedenti: molte attività tradizionali di gran valore (ad es. esisteva una scuola di falegnami che creava mobili intarsiati, abili calzolai che realizzavano calzature di alta fattura) sono cessate perchè le nuove generazioni non hanno voluto più seguire la via dei loro padri, chi perchè ha studiato e si è trasferito nelle città, chi perchè ha voluto tentare la fortuna in America, ed il paese si è parzialmente spopolato.

Inoltre le comunicazioni con l’esterno sono diventate sempre più facili e se questo da un lato è un bene come tutte le aperture al mondo che creano ampliamento di orizzonti, ha anche portato a molti matrimoni  con ragazze al di fuori dalla comunità arberesh, e poichè la lingua che si assorbe con il latte è sempre la lingua madre, molti bambini di oggi non parlano più tra loro albanese, anche se lo capiscono perfettamente e se la scuola insegna a coltivare questa preziosa eredità culturale.

La rinascita

Civita, con la sua ricchezza di tradizioni sembrava essere destinata ad un’inevitabile agonia, come molti bei paesi del nostro meridione, ma è successo un piccolo miracolo: giovani donne che avevano studiato, avevano fatto esperienza di vita delle grandi città italiane e del mondo, per vie diverse e per reciproco richiamo hanno iniziato a tornare, per il desiderio di qualcosa che non si trova altrove, di quel luogo dell’anima che si chiama Patria, della forza della comunità di un borgo così unito da sentimenti comuni, di una vita autentica, dell’intima felicità di ritmi scanditi dalla natura.

  Hanno avuto la capacità di sognare di rifondare una comunità sul valore della partecipazione, della solidarietà, e stanno avendo la capacità di realizzarlo.

La modernità dei borghi

Stefania Emmanuele, fondatrice e anima dell’associazione Borgo Slow, che nella vita è tante cose, giornalista, sociologa, insegnante, scrittrice, riscopritrice del patrimonio culturale di Civita,  promotrice di un’economia basata sulle risorse naturali e  sul turismo sostenibile, instancabile organizzatrice (anche di questo blog tour), ha iniziato a creare una rete, e sono rinate tante nuove attività a Civita, spesso legate ad un’idea vincente di “turismo slow”: il contrario dell’orrendo turismo mordi e fuggi in cui si invade, si consuma, si fotografa, si snatura il luogo rendendolo uguale a tanti altri luoghi e appiattendo la bellezza della diversità.

L’idea di base è che c’è qualcosa di fortemente moderno nei borghi, quella straordinaria modernità che nasce dalla riscoperta dei valori dell’uomo e della comunità, della solidarietà e dell’armonia con la natura.

Ospitalità e condivisione

Qui a Civita ora si può venire per vivere questa esperienza di ritorno alla cultura del borgo, una straordinaria cultura tradizionale, iniziando con l’ alloggiare in uno dei meravigliosi piccoli bed and breakfast a conduzione familiare che ti fanno sentire accolto, non turista ma abitante e corresponsabile della preservazione dell’unicità del luogo, sia pure per poco tempo.

Io sono stata ospite di Stella e Giusy Rabia, nel bed and breakfast Stella, una  casa di pietra che era un’ antica abitazione  resa confortevole e accogliente nei minimi dettagli, un ambiente con il grande camino tradizionale, la sala da pranzo dove vengono servite colazioni insuperabili tutte a base di prodotti locali e manicaretti cucinati ogni giorno (quattro diverse particolarissime marmellate, torta di fichi e noci, goffres alla frutta fresca, crostini pancetta e zucchine, fichi al cioccolato e alla scorza di arancio, solo per citare alcune delle delizie pronte per noi sulla tavola apparecchiata con grazia).

E poi quattro stanze tutte creativamente diverse ma con un’unità stilistica, curatissime per donare agli ospiti il senso dello stare a casa, con mobili scelti con gusto uno per uno, i pizzi fatti a mano, le porte decorate con eleganza.

Ad avere avuto più tempo, Stella e Giusy organizzano escursioni interessantissime (quanto avrei voluto provare l’emozione della falconeria!). E poi una cosa impagabile, il sorriso e l’attenzione agli ospiti, che le hanno portate anche a prendersi cura della mia bimba di 4 anni che non poteva affrontare il trekking sulle montagne di Civita e che ho ritrovato con un sorriso immenso intenta ad imparare a fare la pasta tradizionale!

Tramandare le tradizioni

Civita è stata inserita, insieme ad illustri compagne, tra i borghi più belli d’Italia. Che Civita abbia qualcosa di speciale si capisce fin dai primi passi nel borgo antico. Sulla piazza, sugli usci delle porte, senti gli abitanti parlare tra loro rigorosamente in lingua Arberesh e poi rivolgersi a te in italiano, passando tra le due lingue come la più naturale delle cose.  Il museo della tradizione Arberesh è un’interessante testimonianza storica e culturale, e contiene tra l’altro una collezione di preziosissimi costumi.

Quasi tutte le famiglie conservano gelosamente un costume tradizionale che ha almeno 100 anni e si tramanda da madre a figlia o da suocera a nuora ed è caratterizzato da un preziosissimo ricamo d’oro puro. Mi hanno raccontato che il recente restauro di uno di questi costumi è costato ben 15.000 euro.

Ho potuto assistere ai canti delle melodie tradizionali arberesh, da parte del più famoso cantore di Civita, soprannominato il “Principe d’Arberia”, ambasciatore della cultura d’Arberia , che con la sua voce forte e calda fa rivivere suoni e parole di centinaia di anni fa’, accompagnato da un bravissimo suonatore di fisarmonica, anche se lo strumento di un tempo era una forma di speciale cornamusa. La musica infatti ha a tratti suoni struggenti ed evocativi come se arrivassero dal profondo della lontananza dei monti,  per poi diventare allegra e sottilmente ipnotica e seduttiva nella tarantella lenta tipica arberesh, che segna il corteggiamento delle ragazze. L’uomo cerca di aggirare la donna che lo fronteggia, e se questa alla fine permette che l’uomo le passi attorno ha accettato la sua corte!

Bella, antica, e con un pizzico di mistero

Vagando tra le abitazioni di pietra del borgo, si perde il senso del tempo godendo della bellezza dei silenzi, dell’armonia paradossalmente creata dall’irregolare impianto architettonico di ogni edificio e dalla singolare diversità di ogni alto comignolo che caratterizza ciascuna abitazione (un paradiso per Babbo Natale!); il camino aveva un ruolo centrale nelle case tradizionali di Civita, luogo dove si riuniva la famiglia per lavorare e raccontare alla luce del fuoco, ci si scaldava, si appendevano i salumi, le erbe mediche ed i peperoncini ad essiccare, si cuocevano i cibi.

All’improvviso ci si imbatte in alcune case speciali ed anche un po’ inquietanti, caratterizzate dalla presenza sulla facciata principale di due sole piccole finestre, nè più nè meno della dimensione giusta perchè una persona possa affacciarvisi, in mezzo a loro la lunga canna fumaria esterna dei camini, e in basso l’ampio portone.

Finestre, camino e porta danno a queste case un’espressione antropomorfa di un viso umano, contorto in grottesche diverse espressioni. Suggestione ex post o effetto voluto dagli antichi costruttori? Chi può saperlo, ma certamente non si tratta di una casualità, perchè le culture tradizionali sono sempre state molto attente ai linguaggi simbolici delle cose, ed alcuni esempi simili a queste costruzioni sono stati ritrovati in altre comunità d’Arberia. Un anziano un giorno disse qualcosa a proposito del fatto che un tempo non si usava il cemento ma le ossa triturate, per costruire, lo riporto così come mi è stato riferito, senza poter validare o smentire questa affermazione inquietante.

Queste case sono state dimenticate per tanto tempo e “riscoperte” nella loro singolarità da Stefania Emmanuele, che le ha dato il nome di Case Kodra, dal nome del pittore Ibrahim Kodra che le visitò e ritrasse, riconoscendole in qualche modo sorelle della sua arte. La fama delle Case Kodra è ormai diventata amplissima, provate solo a digitare su un motore di ricerca questo nome e divertitevi ad immaginare dietro a ciascuna facciata una diversa espressione del volto umano.

Le case Kodra sono un patrimonio culturale da preservare, ed è stato inaugurato proprio in occasione del blog tour un primo embrione di quello che diventerà il museo delle case Kodra, un’abitazione tradizionale che contiene tutti gli elementi tipici degli ambienti, degli arredi e delle supellettili di un tempo.

Turismo sostenibile

Gli anziani inizialmente erano diffidenti verso “gli estranei”, i viaggiatori venuti da fuori, ed avevano un atteggiamento di forte chiusura, ma poi pian piano si sono aperti, sono contenti di vedere le loro strade rivitalizzate da nuove persone interessate a riscoprire la cultura di Civita, alcuni hanno aperto le loro case ad una semplice ospitalità nella stanza in più in cambio di un’offerta che aiuta anche la non sempre facile economia domestica o  serve a promuovere l’emancipazione della donna. Alcuni cercano anche un contatto fisico, un sorriso, un abbraccio, uno scambio di parole, l’orgoglio di mostrare il frutto del loro lavoro in cucina o all’uncinetto.

E’ il caso del personaggio che abita nel rione di Sant’Antonio, che vedete ritratto accanto ad una delle più suggestive case Kodra: zi’Antonio, un vecchietto che si era lasciato del tutto andare nella sua solitudine, e che da quando si è autonominato custode della facciata della casa, ha rattoppato la sua giacca, si è messo un berretto in testa e ha impugnato il suo bastone nodoso, ed ama mettersi in posa e farsi fotografare con i visitatori in cambio di una coccola e di un abbraccio.

Vedete come un turismo sostenibile possa aiutare le comunità locali, come possa integrarsi con lo spirito dei luoghi ed essere una cosa buona e naturale? E ve la immaginate invece una discoteca sorgere in questo posto senza tempo (come pure ad un certo punto qualcuno propose di fare!).

La grande palestra: la natura

In un posto così non si ha nemmeno bisogno della palestra, perchè la grande e ineguagliabile palestra è la natura! Già, la natura. Civita non sarebbe quello che è se non fosse dove è. Da molte case di Civita si gode di una splendida vista sui monti, ma ci sono due punti in particolare, da cui il panorama è mozzafiato: il Belvedere, e un po’ oltre la “culletta”, affacciata sul sentiero che scende giù verso le Gole del Raganello. Dalla culletta si vede in alto  un’altissima parete di roccia, la maestosa Timpa del Demanio, o del Demonio come alcuni la hanno ribattezzata per la sua non scalabile maestosità o forse perchè a cavallo tra la parete su cui sorge Civita e quella della Timpa del Demonio, sorge il Ponte del Diavolo.

Il Ponte del Diavolo, visto da Civita è piccolo piccolo in basso nell’abisso creato dalle due pareti di roccia, ma visto dal basso delle gole appare altissimo e ardito. E’ un ponte di pietra il cui antenato  risale all’età romana, quando qui si dipanava un’antica importante via del commercio del sale. Il sale ha sempre portato la civiltà ed attratto gli insediamenti, tanto è che in queste valli è stata ritrovata un’immensa necropoli protostorica. Nel medioevo fu costruito il modello dell’attuale ponte, così ardito da essere soprannominato appunto Ponte del Diavolo, che ha retto per 500 anni, fino a quando cadde forse per erosione del materiale di cui era fatto, ricostruito fedelmente in pietra identico a come era, ed oggi è una attrazione molto nota ben fuori dal contesto civitese.

Al di sotto del Ponte le Gole del Raganello. Si tratta delle terze gole più profonde d’Europa e delle prime di Italia, un canyon lungo  17  km, quasi tutti nel territorio del comune di Civita,  tra cui passa fragoroso il torrente Raganello: uno spettacolo naturale di incomparabile bellezza che la natura offre, e che come tutti i grandi spettacoli della natura, come l’oceano, come i vulcani, come le cime innevate dei monti, richiede rispetto e grande attenzione nell’accostarvisi. Recentemente è salito alla ribalta per la tragedia avvenuta nell’agosto 2018, quando gruppi di escursionisti furono travolti da un’ondata improvvisa del Raganello che causò molte vittime. Eppure esistono delle precauzioni che da sempre gli abitanti di Civita tramandano nella saggezza popolare: quando a nord si vedono nubi nere, non si può scendere alle gole. Questo perchè quando piove a monte del fiume, si sa che le acque possono ingrossarsi e causare piene improvvise.

Se lo spettacolo delle gole del Raganello è universalmente noto, non lo sono altrettanto gli splendidi percorsi che possono essere seguiti tra i monti e le valli che circondano Civita.  Il blog tour ci ha portati ad uno splendido itinerario di hiking verso il luogo chiamato non a caso “Chiesa madre”. Dal belvedere di Civita si scende brevemente per poi iniziare a risalire sino alla cima della costa rocciosa su cui è costruito il borgo, percorso con un buon dislivello ma assolutamente fattibile con un po’ di buona volontà anche per una non sportiva come me. Si alternano parti del cammino in cui bisogna destreggiarsi un po’ di più tra le rocce ad altri in cui si attraversano piacevoli prati che profumano ad ogni tratto di odori di erbe diverse che i locali conoscono una per una ed utilizzano spesso nella preparazione dei loro piatti tipici; tra tutte spiccano il finocchietto selvatico e l’asparago.

Sdraiati  nel punto più alto della roccia, e guardando tutto intorno da un lato la parete della Timpa del Demonio che si staglia ancora molto più alta, con le gole profonde ai nostri piedi, dall’altra le vallate che si stendono a perdita d’occhio, gli oliveti secolari, le case antiche di Civita, vedendo spesso volteggiare in cielo l’aquila reale ed altri rapaci che dimorano tra le cime, ci si sente avvolti da una forma di religioso naufragare nell’immensità della natura, che si rivela un grande tempio di cui si può tornare a sentirsi parte.

Mentre ammiro la Timpa scorgo in mezzo alla parete assolutamente a picco un minuscolo puntino bianco, lo prendo inizialmente per una pietra particolare, poi vedo che si muove, e mi spiegano che si tratta di  una capra selvatica, che si inerpica con incredibile agibilità tra quelle rocce inaccessibili, e non è raro che le aquile ne approfittino per uno spuntino facendo precipitare qualche capra giù nelle gole, dove si tuffano in picchiata per riacciuffare la propria preda.

Meno male che sono felicemente sposata, perchè quel mio indugiare con lo sguardo sulla Timpa del Demonio avrebbe potuto secondo la leggenda costarmi la zitellagine a vita! Narra infatti un racconto popolare che viveva un tempo a Civita una donna detta “la Magara”, che appariva bellissima a tutti gli uomini, e bruttissima alle donne. La magara riempiva le notti o semplicemente i sogni notturni degli uomini del paese, così da suscitare le invidie delle donne del paese, che coalizzatesi contro di lei la fecero precipitare giù nelle gole del Raganello. Ma la magara, che conosceva le arti magiche ed era forse una strega, invece di sfracellarsi al suolo si librò in volo ed andò a rifugiarsi in una delle tante grotte della Timpa, da dove lanciò una maledizione contro tutte le donne che avessero osato rivolgere verso quel punto il loro sguardo, e non avrebbero mai trovato marito!

Sacro…

Nel ridiscendere giù verso il paese per un più comodo sentiero, passando a fianco ad uliveti e a qualche insediamento rurale con le caprette ed altri animali da cortile e fermandomi a bere ad una fontana con annesso abbeveratoio un’acqua buona e fresca come solo la montagna sa regalare, sento in lontananza i suoni della banda che accompagna la processione delle Madonna del Rosario, patrona di Civita, con quella solennità gioiosa e quella partecipazione convinta della comunità che costituisce l’altra speculare faccia della religiosità che questi scenari naturali ispirano.

Il rito religioso è del resto molto importante come elemento unificante della comunità arberesh di Civita. La chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta è molto particolare, con la sua iconostasi, diverse icone della tradizione greco-bizantina e antiche statue policrome e vestite, un singolare altare quadrato, un organo settecentesco. Vi si celebra la messa (cattolica) in rito bizantino e lingua albanese, che è molto affascinante. Legate al rito bizantino sono anche molte celebrazioni delle feste liturgiche secondo usanze tramandate da secoli.  Spesso, come ho avuto la fortuna di poter sentire io, vi si tengono concerti di cori o di musica classica.

E profano…

Dopo una così bella e corroborante escursione, tornando a Civita non si può fare a meno di fermarsi a bere un dissetante squisito latte di mandorla. Lo potete trovare nell’emporio dell’Azienda Agricola Carlomagno, accompagnato da molti squisiti prodotti di questa terra, in primo luogo le mandorle, naturali o glassate con diversi gusti, e poi i buonissimi grandi e morbidi fichi secchi, con dentro le noci, le nocciole, le mandorle, le scorze d’arancia, ricoperti di cioccolato,  affogati nel rum, persino aromatizzati al bergamotto che cresce solo nelle terre di Calabria. Per non parlare delle tante specie di fragranti tarallucci, tra cui quello civitese con un’erba locale dall’inconfondibile aroma. E poi conserve di prodotti biologici, salumi, e tante altre specialità da provare. Nel blog tour l’azienda Carlomagno ci ha offerto un graditissimo rinfresco di benvenuto a base di latte di mandorla e mandorle e non ho resistito alla tentazione di tornare alla fine del tour a fare shopping per riempire di bontà la mia dispensa.

Per gli amanti del buon cibo e della cultura della ristorazione slow e a km zero, Civita offre del resto  tantissimo. La cena del blog tour al ristorante L’oste d’Arberia è stata esemplare in questo senso. In un bell’edificio di pietra con giardino, con una cantina di tutto rispetto che custodisce una selezione di vini propriamente locali di qualità e una selezione di vini calabresi, questo ristorante ci ha offerto una degustazione di prodotti selezionati con grande cura tra quelli che costituiscono una peculiarità del territorio: per citarne solo alcuni, si va dai salumi (primo fra tutti un particolare tipo di ottimo prosciutto di nicchia), alle patate di Civita (ottime!), ai fritti di ortaggi biologici locali, ai diversi formaggi lavorati a crudo, a certi peperoni dolci che non creano intolleranza (posso testimoniarlo, io che non posso altrimenti digerirne neanche l’ombra), al pane fragrante e rigorosamente fatto in casa, alla pasta fresca fatta con un attrezzo tradizionale che un tempo veniva usato a Civita per fare la maglia, cucinata in modo molto semplice ma deliziosa. Ci si alza da tavola soddisfatti e con un gran senso di equilibrio alimentare, ed ogni giorno è una sorpresa perchè il menu dipende da cosa la natura offre di meglio al momento.

Solo per intenditori

Quello che mi è piaciuto di queste attività, è che rispondono ad una precisa filosofia di attenzione alle potenzialità del turismo ma non di svendita al turismo di massa. Insomma Civita si può permettere di selezionare veri intenditori, che danno ancora al viaggio il senso della scoperta del diverso e dell’arricchimento, senza l’ansia di ritmi frenetici alieni a chi vive tra i monti e sa contare il tempo in secoli. A proposito: Civita cerca nuovi abitanti, persone che abbiano capito molto della vita e che abbiano un pizzico di follia per mettersi in gioco.

Ma senza arrivare a tanto, dedicatele un viaggio, è un’esperienza di quelle che durano a lungo nel cuore.

Un ringraziamento particolare a Borgoslow e a Stefania Emmanuele per aver organizzato questo affascinante blog tour, al B&B Stella per averci ospitato in un luogo delizioso, a L’Oste di Arberia e all”azienda Carlomagno per averci fatto gustare le delizie di Civita.

Per leggere i racconti degli altri partecipanti al blogtour, seguite anche sui social l’hashtag #civitanelcuore, e se volete maggiori informazioni non esitate a contattarmi.

 

19 thoughts on “Civita, blog tour nel borgo arberesh nella riserva naturale delle gole del Raganello

  1. Io sono attirata davvero molto dai luoghi “cross-culturali”. Per questo vorrei conoscere di più il sud italia. La tua esperienza a Civita dev’essere stata proprio bella.

  2. Evviva il turismo sostenibile, la vita lenta e consapevole.
    Questo mondo fa troppo di fretta e allora è importante fermarci qualche istante per riprendere fiato e assaporare la bellezza intorno a noi. E sono certa che Zì Antonio tutta quella bellezza adesso la vede. 🙂

  3. Ho sentito tanto parlare di questo blog tour!!! Leggendo il tuo post mi sono resa conto che Civita è un posto molto bello, ricco di tradizioni e di persone carine! Non lo conoscevo affatto! Grazie!

  4. E bello e importante parlare di turismo sostenibile. Il tuo post è riuscito a trasmettere non solo il tuo entusiasmo per questo luogo, ma anche i particolari che lo rendono affascinante.

  5. Sai che non conosco affatto Civita, a dire il vero conosco pochissimo della terra calabrese. In tanti me ne hanno parlato e ora, con il tuo racconto, sono proprio sicura che mi piacerebbe molto esplorare la Calabria vera, non solo quella di Tropea e del mare, ma quella di paesi ricchi di storia e tradizione.

  6. sono calabrese e ho sempre sentito di questi paesini con cultura albanese ma sai che non ci sono mai stata? con il tuo racconto dettagliato sembrava quasi che fossi lì! bravissima! 🙂

  7. Non conoscevo questo posto e mi ha fatto davvero piacere scoprirlo con te. Vedi che i blog tour servono a far conoscere il territorio? <3
    p.s. anche io vorrei fare l'escursione della falconeria!!!

  8. Non avevo mai sentito parlare di Civita, paesino che sembra proprio bello. E che splendida idea il blog tour che hai fatto! Anche a me piacerebbe molto

  9. Che bello il tuo racconto con tutti questi dettagli sulla storia e sulle loro tradizioni! Io ci sono stata quest’estate ma solo per una passeggiata e mi ha molto affascinato. Lo trovò davvero uno dei borgh più belli dove a questo punto tornerò prima o poi 😉

  10. Sembra un borgo molto bello e ricco di tradizioni, meriterebbe una visita non mordi e fuggi ma un soggiorno abbastanza lungo da poter godere di tutta la natura che lo circonda.

  11. Sono contenta che ti sia piaciuta Civita e spero vivamente che tu sia dei nostri nei prossimi blog tour. Sarò felice di farti conoscere l’autenticità della mia terra.

  12. Mi interessano molto luoghi come questi, il ritmo lento di un luogo così con sole 1000 anime. Una comunità che si autogestisce e che preserve il suo patrimonio, un esempio da condividere.

  13. Sono stata alle Gole del Raganello e a Civita per l’escursione e per un giro nel borgo. E’ incantevole, ma come ogni borgo della Basilicata. Sembra abbandonato a se stesso ma contemporaneamente traspare un’anima ed una vera identità. Ecco perchè l’ho amato!

  14. La Calabria è una di quelle Regioni italiane che mi sarebbe sempre piaciuto conoscere meglio!
    Molto interessante e super dettagliato il tuo articolo. Ci sono in Italia tante realtà splendide, davvero poco conosciute e che meriterebbero di essere valorizzate.
    Dobbaimo deciderci a venire da queste parti al più presto!

  15. Non conoscevo Civita ma ultimamente l’ho sentita nominare: pensa che mia madre è calabrese e io sono venuta in Calabra per ben 20 anni ma non conosco molto della regione.

    E’ vero: l’entroterra calabrese ospita ancora molte comunità albanesi, molto legate alle loro tradizioni. Credo che il turismo slow e sostenibile faccia bene ad entrambi: a loro che vedono rianimare il loro borgo, magari guadagnando qualcosa e noi che visitiamo questi bellissimi posti!

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