Oaxaca: i posti belli sono stati riconosciuti fin dall’antichità. Quella che possiamo ammirare oggi è una cittadina coloniale fondata nel 1532 , che conserva ancora l’atmosfera affascinante di quel secolo, ma il luogo su cui i coloni di Cortez hanno fondato la città spagnola era già un importante sito zapoteco e ancor prima un grande insediamento preistorico, e tutte le civiltà che si sono succedute nei millenni hanno lasciato le loro forti tracce.
Appena arrivate da Puebla, come siamo scese dalla corriera ci siamo accorte subito che Oaxaca è una città vivace, molto, anche troppo, vivace. I colori accesi e contrastanti delle case, i tanti animati mercati che strabordano sulle strade, il traffico (e l’inquinamento) intensissimo annunciavano questa sua anima un po’ caotica, ma c’era anche uno strano clima di agitazione, dovuta a diversi stand di protesta nello zocalo e ad una manifestazione degli insegnanti; da che mondo e mondo gli insegnanti protestano sempre, però non ci sembrava tanto normale vedere una folla scalmanata di insegnanti fronteggiare l’esercito in assetto da guerriglia; abbiamo compreso poi che stavamo assistendo ad un momento molto critico della recente storia messicana, all’inizio di un periodo di tensioni molto forti nel tessuto sociale, che hanno avuto il loro epicentro qui ad Oaxaca con la lunga rivolta degli insegnanti, partita per motivi economici e poi pian piano diventata protesta per i finanziamenti alla cultura, poi per il rispetto dei diritti umani, a cui si sono aggiunti movimenti di studenti e contadini ed è diventato un movimento di protesta generale che chiedeva il rinnovamento nelle istituzioni messicane; questa città ha un forte valore simbolico per le rivendicazioni politiche e sociali, perchè è la città natale dell’amatissimo Benito Juarez. La protesta ha vissuto a più riprese negli anni momenti molto violenti di scontro e di repressione da parte dell’esercito, culminati con 21 morti, di cui gli ultimi nel 2016.
Ad ogni modo, pur non intuendo allora la gravità della situazione abbiamo girato alla larga, e ci siamo godute questa bella città. Lo zocalo è molto grande e ben curato, simile nell’impianto a quello già visto a Puebla: intorno palazzi porticati, piazza alberata, con aiuole di fiori rossi.
Della cattedrale mi è sì piaciuta la facciata di pietra molto lavorata e ricoperta di sculture, ma l’interno non mi ha colpito.
Invece ho trovato splendida la Chiesa di Santo Domingo, il cui interno è una incredibile trina di decorazioni di stucco e oro. La chiesa fu iniziata nel 1557 e finita solo due secolo dopo con una spesa enorme,
ma il risultato è un capolavoro. Tra le attrazioni culturale di Oaxaca ci sono diversi bei musei, mi permetto di consigliare quello dell’artigianato, considerato minore, ma probabilmente è proprio nell’artigianato comprende l’anima artistica più autentica di questa popolazione.
Il centro pedonale vero e proprio non è grande, solo alcune strade sono interamente pedonali, caratterizzate da case ad un solo piano di tutti i colori; al tramonto una soffusa luce rosa rende un po’ fiabesca l’atmosfera che invece si perde un po’ nelle altre vie che sono molto trafficate.
Tra i mercati che sono un po’ ovunque i più noti sono quello di Pochote e quello intitolato a benito Juarez. tra i banchetti alimentari si trovano specialità alimentari diverse, tra cui una curiosità tutta locale: le cavallette fritte, condite con limone e peperoncino. Il mercato dava un’impressione di grande pulizia, e così non ho resistito alla tentazione di assaggiare questa “prelibatezza”,comprandone una bella bustina: beh, una volta vinta la diffidenza, posso dire che non sono male, sanno di gamberetti croccanti e gustosi.
E’ divertente passeggiare per la via Mina, famosa per le sue cioccolaterie. La cioccolata di Oaxaca è in stile atzeco, senza burro di cacao, agglomerata con il solo zucchero, e un po’ ricorda la nostra cioccolata di Modica. Sono tanti anche i locali, spesso con annessa distilleria, che offrono da bere il liquore tipico, il Mezcal, di cui vi parlerò dopo.
Ma il vero interesse di Oaxaca sono i villaggi che la circondano e soprattutto i ricchissimi siti archeologici, e così siamo partite alla scoperta della regione.
Partendo in direzione della Sierra Madre la prima tappa è stata Santa Maria El Tule, dove nella piazza principale si trova un albero antico almeno 2.000 anni, ma pensano che con dei carotaggi si potrebbe individuare un’età molto maggiore. Pensate se potesse parlare, quante cose potrebbe raccontare, di civiltà nate e svanite, di generazioni e generazioni di uomini che hanno abitato queste terre; mi dicono che è un cipresso, ma ho difficoltà a riconoscerlo come cipresso,il suo tronco ha dimensioni incredibili: 14 metri di diametro, circonferenza di 58 metri per oltre 42 di altezza. E’ così grande che non riesco nemmeno ad inquadrarlo per intero nella macchina fotografica. Lì a fianco c’è un altro albero della stessa specie, davvero grande, ma a confronto appare un microbo.
Il paese di Santa Maria El Tule è molto caratteristico. Tutto intorno al semplice ma elegante portone di legno della particolare chiesa tutta di calce bianca con motivi decorativi azzurro cobalto e ro
sso mattone è una decorazione di pasta di pane lavorata in forma di tanti fiori, in segno di abbondanza e buon augurio.
Nella piazza assolata sorge un altro singolare edificio degli stessi colori con due ordini di porticati. Dei venditori in costumi tipici offrono tappeti coloratissimi tessuti con lane dipinte con colori naturali.
Ci fermiamo a visitare una manifattura di tappeti tessuti, e scopriamo i segreti di quest’arte che comprende tutte le fasi della lavorazione, dalla cardatura della lana alla filatura con fuso e arcolaio, alla colorazione, alla tessitura e alla finitura dei tappeti.
La cosa più curiosa è come vengono ricavate le varie sfumature di rosso: pestando la cocciniglia, i
ragnetti rossi che infestano i cactus e sciogliendola nell’acqua. Se si vuole ottenere un colore più arancione si aggiunge del succo di limone che la fa diventare una soluzione acida; se si vuole un colore più amaranto si aggiunge del bicarbonato che sposta la soluzione verso il basico. Inutile dire che alle mattonelle di Puebla ho aggiunto un tappeto della Sierra Madre colorato con la cocciniglia.
La seconda tappa è un sito archeologico zapoteco di grande interesse: Mitla. Il grande tempio di Mitla fu distrutto dai conquistadores per realizzare nel XVI secolo una chiesa (cosa che avveniva regolarmente per distruggere dalle loro fondamenta culturali le civiltà indigene) ma le rovine del complesso sono ancora grandiose.
Ecco il luogo dove avvenivano le cerimonie funebri della classe degli alti sacerdoti, e le loro tombe racchiuse in tre piccole camere funerarie di un palazzo delle sepolture. Ancora sui muri si può vedere la pittura di un rosso sgargiante che doveva dare al complesso un’aria completamente diversa da come ce lo immaginiamo. Le colonne,
perfettamente cilindriche, e i muri ben squadrati e decorati con intrecci di blocchi e rilievi di forme geometriche anche complesse sono fatte con pietra trasportata da cave lontane 25 km e scolpite senza strumenti di ferro e senza conoscenza della ruota.
Intorno al sito di Mitla sono tante bancarelle di oggetti di artigianato tra i più belli che io abbia trovato in Messico, tra cui i variopinti animaletti di legno che raffigurano gli spiriti guida dall’aldilà, gli Alebrijes. I miei spiriti guida sono due bellissimi gatti di legno gialli e blu che ora fanno la guardia ai dolci sogni della mia bimba vicino al suo lettino.
Ed eccoci arrivate a Monte Alban, una delle più straordinarie testimonianze archeologiche della cultura zapoteca. Sorge sulla cima di una montagna che fu spianata per costruire un sito monumentale su 12 vaste terrazze, che impressiona davvero se pensiamo che l’opera risale intorno al 500 avanti Cristo. La civiltà di Monte Alban dominò un vasto territorio per oltre 1000 anni, e fu potente e spietata con i nemici che conquistò nella sua espansione, per poi disgregarsi lentamente in piccole città stato.
Dalla spianata di Monte Alban, oltre 1900 metri di altezza, tra questi resti grandiosi e i curiosi alberi di cotone da cui pendono i bianchi batuffoli che forse hanno dato il nome al luogo, si gode di una splendida vista sulla Sierra Madre innevata e sulle pianure sottostanti,
La spianata principale è molto vasta e ospita la grande piramide (42 scalini ma belli tosti) e una serie di edifici amministrativi e religiosi, disposti sui lati e orientati verso i quattro punti cardinali e uno strano
edificio diagonale a forma di freccia che aveva funzione di osservatorio astronomico, considerato che questo popolo aveva grandi conoscenze astronomiche legate alle credenze religiose e alle necessità di osservare i cicli della natura così importanti per l’agricoltura. L’osservatorio astronomico, il più antico del sud america, è rivolto esattamente a sud est, in direzione di Alfa Centauri. Tante coincidenze nel mondo antico…forse siamo veramente figli delle stelle?
Sulle altre spianate si trovano i palazzi dei notabili, templi minori e due campi da calcio, o meglio da “pelota”. La pelota era lo sport nazionale, ed era un tantino più violento di come si gioca ora. I campi erano più piccoli, con un pavimento coperto di stucco e circondati da alti muri su cui la palla di gomma pesante circa 1 kg, che non poteva essere toccata con i piedi, poteva rimbalzare, un po’ come la pallacorda, e i campioni ottenevano in premio non ingaggi milionari ma il privilegio di essere sacrificati e raggiungere da eroi il complicato mondo degli dei.
A Monte Alban sono state ritrovate oltre 300 di queste curiose pietre scolpite con uomini nudi in posizioni contorte. per lungo periodo sono stati chiamati “danzantes”, pensando che rappresentassero dan
zatori di danze rituale ripresi nel loro movimento, ma ci si è accorti che diverse figure avevano i genitali mutilati e sembravano piuttosto dimenarsi in una posa di dolore, e si è compreso che si trattava di rappresentazioni dei prigionieri, spesso capi villaggio nemici con i loro nomi, torturati e sacrificati. Del resto nell’edificio principale sono state ritrovate tante pietre scolpite di teste rovesciate e nomi dei villaggi nel tempo conquistati,buon esempio di antica propaganda trionfalistica.
Il sistema idraulico merita una menzione particolare. L’acqua piovana veniva raccolta nella cisterna, filtrata attraverso un soffitto di legno e lungo i muri, e veniva convogliata attraverso un capillare sistema di tubazioni in tutti gli edifici.
Insomma Monte Alban è un sito straordinariamente interessante, anche se la storia che narra è a tinte molto forti: la civiltà zapoteca, che aveva raggiunto così alti livelli nell’architettura, nell’astronomia, persino negli acquedotti, era anche una civiltà sanguinaria, violentissima nei confronti dei nemici e crudele anche al suo interno; forse per questo si è estinta per lenta consunzione. Poi penso alle violenze che i conquistadores hanno portato qui nei confronti della popolazione indigena, alle tante guerre importate in Messico nel corso della storia dall’Europa e dal nord America, alla difficoltà di questo splendido Paese a trovare una sua via di indipendenza, di giustizia sociale e sviluppo, ripenso al clima teso che ho trovato da queste parti, a quell’esercito in assetto da guerra contro i dimostranti, e alla prossima tappa che un po’ ci intimorisce e tanto ci attrae, il Chapas, e me ne vado dalla regione di Oaxaca con il cuore pieno di tanti sentimenti contrastanti.