Nepal – Pokhara, ai piedi dell’ Annapurna

Pokhara è la seconda città del Nepal, situata ai piedi della catena dell’Annapurna dalle cui cime è circondata, ed è diventata negli ultimi decenni il paradiso dei turisti sportivi, non solo come base di partenza per il trekking di alta quota, ma anche perchè qui si possono praticare molte attività adrenaliniche, come il parapendio, il deltaplano, il rafting.

Tra le vette  che dominano la città, insieme all’Annapurna, che è la decima altezza del mondo, spicca  la sagoma triangolare del Machapuchara, unica vetta inviolata delle montagne  himalayane perchè è vietato scalarla in quanto sacra a Shiva. Questo panorama è davvero mozzafiato!

Per questo è facile capire come capitare a Pokhara in giorni di foschia e pioggia, quando le cime dei monti sono completamente coperte dalle nubi, come è successo a me, toglie molto dell’appeal di questa città che diventa una sorta di camping per turisti sfaccendati in attesa di poter partire per le escursioni.

Il lago Phewa e il tempio Tal Barahi

Pokhara è molto grande, ma il suo centro storico è relativamente piccolo,  e si distende sulle rive del bel lago Phewa. Vi sono tante strette barchette colorate col fondo basso perchè l’acqua del lago in certi punti non deve essere altissima, così che bisogna salire a bordo con un po’ di attenzione; aspettano al molo per portare i visitatori a fare un giro tra le acque azzurre tra i colli verdi e, come ho capito solo dalle cartoline che mostravano ciò che io non potevo vedere per le nubi, tra le vette degli 8000.

Nel mezzo del lago è un’ isola con il piccolo ma famoso Tempio induista  Tal Barahi, affollatissimo di turisti e fedeli (che spesso coincidono, perchè la maggior parte dei turisti è indiana di fede induista). I fedeli fanno il giro dello stupa suonando a mo’ di preghiera tutte le piccole campane che lo circondano.

Le rive del lago sono tutte costeggiate di piccole bancarelle in gran parte di cibo locale, da un lunapark con ruota, e da molti ristoranti che la sera organizzano anche spettacoli di folklore locale. Anche la zona dietro alle rive del lago è costituita di affollate strade piene di negozi di souvenir e  di articoli sportivi, alberghi e ostelli per tutte le tasche, locali che offrono massaggi, agenzie di escursioni e attività sportive, bar e tavole calde.

Il Gurkha Memorial Museum

Piove. Decidiamo di rifugiarci in un luogo asciutto e la scelta ricade sul Gurkha Memorial Museum. Sono quelle scelte un po’ casuali che invece si rivelano interessanti. I Gurkha sono una delle 63 etnie del Paese, originari della valle Gorkha, nel Nepal occidentale, che hanno una tradizione fortemente guerriera; gli inglesi crearono ad inizio 1800 una Brigata Gurkha che si distinse sempre per fedeltà e spiccate doti di combattenti, anche fuori dal continente indiano.

Infatti, arruolati nell’esercito inglese,  si fecero onore nella prima e nella seconda guerra mondiale; con l’indipendenza indiana alcuni reggimenti andarono all’India e altri continuano tuttora a servire nell’esercito inglese. Non sapevo che fossero stati utilizzati in tempi recenti in scenari tanto improbabili per un paese come il Nepal, prima nella guerra delle Falkland e poi persino in Afghanistan.  Sono considerati uno dei migliori reparti di fanteria esistenti e sono famosi per il combattimento ravvicinato, in particolare con l’uso di un speciale tipo di coltello, il terribile kukiri.

La guida mi racconta delle gesta di un Gurkha suo conoscente, che fatto prigioniero in Afghanistan e tenuto per giorni senza mangiare in attesa di essere giustiziato, si è liberato e ha fatto da solo col kukiri una carneficina di talebani, con una di quelle azioni che Rambo gli fa un baffo.

Pioviggina ancora. Mi concedo un bel massaggio in albergo. Scelgo un massaggio rilassante come piace a me e la ragazza mi sale senza pietà sulla schiena. Gurkha anche lei?

Terremotino

Per non farmi mancare nulla, mentre sto per andare a dormire, arriva una scossa di terremoto sussultorio 3.8, brevissima ma con epicentro proprio qui; è  inquietante sia perchè è la prima volta che sento quel ruggito del mostro della terra che tanto mi avevano descritto gli amici aquilani, sia perchè tutto da queste parti ricorda il devastante terremoto del 2015. Usciamo tutti dai bungalow e passiamo qualche ora intorno ad un bel fuoco nel giardino; è persino piacevole.

Il campo dei rifugiati tibetani

Mattino, non pioviggina più. Adesso diluvia. Andiamo a visitare uno dei luoghi più interessanti di Pokhara, il campo dei rifugiati tibetani che scapparono qui numerosi dopo l’invasione cinese del Tibet nel 1957. Nel tempo hanno mantenuto un’ idenità culturale molto forte, con una comunità chiusa e stretta intorno ai monasteri buddhisti che qui hanno ricostruito.

La comunità  vive soprattutto dell’artigianato e del commercio di oggetti tipici tibetani lavorati nel legno o nel metallo ed impreziositi con pietre semidure.

monastero buddhista pokhara

Ringrazio la pigrizia indotta dalla pioggia che mi ha portato ad indugiare nel monastero Jangchub Choeling alcune ore, perchè ho potuto assistere ad un momento di spiritualità molto intensa, che è stata una delle esperienze più belle del mio viaggio in Nepal. E’ in corso una cerimonia privata, “commissionata” da una famiglia della comunità, come è d’uso in commemorazione di un defunto.

pokhara rifugiati tibetani

I monaci  siedono  ai loro posti, bevono tè caldo, pregano facendo ruotare con le mani le piccole ruote con le frasi sacre  e intonano mantra dai suoni gutturali profondissimi, intervallati dai particolari strumenti a fiato che vengono usati per far trasmettere i richiami da una valle all’altra tra le alte montagne del Tibet. Anche il suono dei gong e dei tamburi è fatto per risuonare tra le cime innevate. Poveri monaci di pianura, privati del loro immenso tempio naturale!

Il senso di raccoglimento individuale e collettivo fortissimo, l’intensità della suggestione di quei suoni e gesti senza tempo che scendono in profondità, smuovono qualcosa nello spirito, e sarei stata ore  in silenzio ad ascoltare e a guardare.

Annessa al monastero è la scuola dei piccoli monaci, dal corrispondente delle nostre elementari sino agli studi superiori. Le maestre si fermano volentieri a parlare e a farci visitare le classi. Carini, sereni e sorridenti nelle loro tuniche rosse e con i capelli rasati, i bimbi più piccoli imparano a far di conto e a leggere in tibetano, nepalese ed inglese.

Quelli più grandi invece, affidati all’insegnamento di monaci anziani,  si apprestano ad effettuare la scelta  se dedicarsi alla vita monastica o tornare alla società laica, e approfondiscono la filosofia buddhista.

Il tempio Bindhya Basini

Dalla suggestione del monastero buddhista alla colorata confusione di un tempio indù. Si tratta del tempio Bindhya Basini, che sorge su una collinetta panoramica, e che è composto da più piccoli edifici diversi., E’ dedicato a Durga, che è rappresentata sotto forma di una conchiglia di ammonite fossile, considerata sacra a Vishnu.

La pagoda della pace

Sulla cima di un’alta collina sorge un grande tempio bianco, la Pagoda della pace, edificato dai monaci buddhisti giapponesi. Raggiungere la cima richiede un certo sforzo, ad un certo punto occorre lasciare le macchine e proseguire a piedi lungo un percorso costituito da una interminabile salita di scalini, sotto una valanga d’acqua che ormai mi inzuppa fin nelle ossa.

Ai piedi della scalinata del tempio vero e proprio occorre togliersi le scarpe e salire a piedi nudi completando l’ inzuppatura con un ulteriore pediluvio.

Intuisco che il panorama dalla pagoda sia splendido, perchè il luogo è alto e la visione è a 360 gradi tra i monti, ma anche qui le condizioni meteo non permettono di goderne.

La grotta Gupteshwor Mahadev

A sud-est di Pokhara, nella zona di Chorepatan, sorge una grotta sotterranea che si dice conosciuta fin da tempi antichissimi, e  già sei secoli fa era stata adibita a tempio indù, perchè vi sorgeva una formazione naturale che sembrava rappresentare Shiva, ma poi l’accesso era andato perduto a seguito di un sisma e col tempo se ne era dimenticata l’esistenza. Negli anni ’50 un monaco ebbe un sogno e la grotta fu riscoperta.

L’entrata della grotta è nascosta all’interno di un simpatico bazar. Vi si accede attraverso un’ampia  colorata scalinata a chiocciola adornata dalle statue di tutte le divinità indù. E’ suggestiva e sembra la via d’accesso al  mondo sotterraneo, quasi ad un girone infernale.

Nella grotta il clima è caldo ed umido, e domina la semioscurità. l’ambiente è caratterizzato dalle ampie volte che stillano ancora goccioline di acqua, ma di per sè non è particolarmente affascinante. Tuttavia nel suo interno, oltre alla grande stalattite  riconosciuta come lo Shiva Linga e a  vari idoli  di divinità indù con le relative offerte votive, custodisce due cose degne di nota. La prima è una cascata naturale con un discreto salto d’acqua,  purtroppo non molto bene illuminata.

La seconda è una vera e propria chicca: dentro ad uno stretto passaggio chiamato “la coda della vacca”, è collocata un statua di una mucca, che rappresenta la dea Kamadhenu, la “vacca dell’abbondanza”, la madre primigenia  emersa dall’oceano di latte cosmico; pagando un piccolo obolo è possibile inserire una pallina bianca (vernice? latte condensato?)  in un tubo vicino alla mucca, e la statua inizia a far colare dalle mammelle un liquido bianco che pare latte, che bagna lo Shiva linga (l’uccello di Schiva) posto di sotto.

Fuori dalla grotta, dall’altra parte della strada  vi è un piccolo giardino a cui si accede alla parte emersa delle Cascate del Diavolo, che si possono ammirare dall’alto.

Partenza rimandata per nebbia

Sono in partenza per Chitwan. Ho scelto l’aereo per risparmiare parecchie ore di viaggio e godermi l’intera giornata nel parco nazionale. Ma ecco ancora il meteo che si mette per traverso. Questa volta è una coltre di nebbia ad avvolgere  Pokhara e ad impedire per tutta la mattina il decollo degli aerei.

E finalmente, in volo, al di sopra delle nuvole, intravedo che meraviglia c’è intorno a Pokhara!

 

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