Quando ci si allontana di Katmandu, ciò che si vorrebbe lasciare indietro è soprattutto quella cappa di smog che accompagna il permanente ingorgo stradale che sembra essere l’elemento unificante delle tre antiche capitali. Quel piombo grigio stride con le montagne immacolate e fa venire voglia di ritrovare la stessa purezza, se ancora esiste, in templi isolati o in villaggi dove le automobili non circolano.
MANAKAMANA, “DESIDERIO DEL CUORE”
Così eccomi diretta a Manakamana, il tempio indù sulla cima di una montagna nella regione dei Ghorka, dedicato alla dea Bhagwati, reincarnazione di Parvati, qui venerata da oltre 500 anni. I devoti vengono da tutto il Paese fino a qui, perchè ritengono che la dea sia miracolosa ed esaudisca i desideri, e difatti il nome Manakamana significa “desiderio del cuore”.
IL MITO DELLA DEA RITORNATA
Il mito narra che una regina del 17mo secolo, Ram Shah, aveva poteri divini che erano a conoscenza solo del suo devoto Lakham Thapa; quando il re scoprì questo, morì misteriosamente, e lei secondo l’usanza fu sacrificata sulla pira funebre del marito.
Prima di morire consolò il suo devoto dicendogli che a breve sarebbe tornata. Sei mesi dopo una roccia su questa montagna iniziò a stillare sangue e latte, e Lakham Thapa riconobbe che la dea era di nuovo presente. Qui fu costruito il tempio che da subito iniziò ad essere veneratissimo.
IL PELLEGRINAGGIO ANTICO E LA NUOVA CABINOVIA
La guida mi dice che quando era piccolo questo tempio era meta di un pellegrinaggio faticoso: sulla montagna si poteva salire solo attraverso strette e ripide mulattiere, 5 ore di cammino per un dislivello di 1000 metri, ed il tempio sorgeva quasi isolato sulla cima del monte, circondato solo da alcune casupole di pastori. Penso che dovesse essere molto suggestivo.
Poi venti anni fa è stata costruita una cabinovia che porta i visitatori su, oltre le nuvole, a ciclo continuo senza nessuno sforzo. Intorno al tempio sono sorte sempre più numerose le attività commerciali legate ai pellegrinaggi, un villaggio brulicante di gente e di traffici colorati.
IL SACRIFICIO DEGLI ANIMALI
La cabinovia è particolare, perchè accanto ai vagoni dedicati al trasporto delle persone, ve ne sono alcuni a gabbia per il trasporto degli animali.
Infatti presso il tempio di Manakamana è tradizione sacrificare gli animali: capre, pecore, pollame; le vittime vengono portate nel sacro recinto di fronte ad un piccolo tempietto della dea, benedette sulla fronte col marchio rosso con il quale vengono segnati anche i fedeli, quindi decapitate, ed il loro sangue scorre in uno scolatoio fino a dissetare le viscere della terra. Il resto della bestia viene portato a casa per banchettarvi, magari festeggiando la speranza che il desiderio espresso venga esaudito dalla dea.
Il perpetrarsi di questa truculenta tradizione è stato vietato recentemente su piccioni, galli e una serie di altri volatili, e così sono rimasti i sacrifici ovini che non sono così tanti e la lunga fila dei fedeli al tempio della dea reca offerte in gran parte acquistate nelle bancarelle intorno e legate ai colori sacri, il giallo ed il rosso: abiir, zafferano, incenso, piccoli lumini, campanelle,dolci, frutta, riso, stoffe rosse.
Intorno al tempio siedono molti Sadhu, i santoni che hanno rinunciato al mondo e dedicato la loro vita alla ricerca della via dell’illuminazione; come sempre, ci sono gli uomini pii e santi e tanti altri che, in un Paese povero come il Nepal, hanno trovato il modo di vivere delle offerte della popolazione, che ha un fortissimo spirito religioso.
Tutti hanno una ciotola dove sono pestati fino a ridurli in polvere i rossi fiori sacri; questo impasto viene apposto sulla fronte del fedele con la recita di formule di benedizione, naturalmente dietro offerta; anche io non mi sottraggo a questo rituale, ritenendo che ogni benedizione o buona intenzione che si riceve vale qualcosa.
EPICENTRO DEL TERREMOTO
Guardo il panorama dalla cima della montagna; la guida mi indica un punto non lontano da qui, e mi spiega che proprio quello è stato l’epicentro del terremoto che nel 2015 ha sconvolto il Nepal. Per questo la distruzione qui è stata quasi totale.
Il tempio Manakamana, il cui legno era giù indebolito dalle termiti, è crollato, ma ad oggi la ricostruzione è ormai completa, grazie anche a finanziamenti cospicui, erogati in considerazione del grande valore sacro del luogo.
Non so come fosse il tempio prima, ma se non avessi saputo del crollo, non avrei pensato ad un edificio ricostruito, la ricostruzione qui in Nepal mi pare fatta con spirito di grande fedeltà agli originali.
Però anche qui, come nelle strade troppo trafficate di Katmandu, tutta quella umana e bestiale confusione, il business del commercio di offerte, il moderno pellegrinaggio semplificato in cabinovia, un po’ mi disturbano, mi tolgono il senso della purezza del luogo.
BANDIPUR
Voglio andare a cercare in qualche altro posto quel Nepal tradizionale che la modernità sta uccidendo. Continuando sulla strada per Pokhara mi dirigo verso Bandipur, un paese che ho letto essere rimasto un po’ fuori dal tempo.
Bandipur si trova sulla costa della montagna sopra Dumre, ma tutto è relativo perchè sembra di pianura tra le montagne degli 8000 metri che lo circondano; vi si arriva per una strada terribile, stretta a due sensi con tornanti e forte pendenza e tutta buche che fanno sobbalzare l’auto come in un lunapark.
CASE NEWARI
All’ingresso di Bandipur si lasciano le automobili e ci si incammina nel passato. L’aria è pura e frizzante, non c’è smog e i colori sembrano più intensi.
Il paese si svolge tutto intorno ad una strada principale, lastricata d’ardesia, su cui si affacciano le case tipiche a due o tre piani della tradizione nepalese, alcune delle quali risalgono al 1700, con elementi di legno, dehor, portoni e finestre intarsiati, con alcuni grandi rampicanti fioriti che rendono la via una cartolina perfetta.
E’ un museo a cielo aperto della cultura Newari, l’etnia prevalente in questi luoghi, che si caratterizza per essere storicamente stata sempre dedita al commercio.
Il piccolo tempio Bindebasini e l’antica biblioteca di Padma sono bei monumenti che completano questo luogo speciale.
Questo paese è stato fino all’800 una tappa di un’importante via carovaniera proveniente dall’India. Il venir meno dell’interesse per questa rotta per i traffici commerciali ha determinato lo spopolamento e l’abbandono di Bandipur e con questo, paradossalmente, la sua salvezza. Mentre infatti altrove le case venivano distrutte e ricostruite in stile moderno, qui tutto rimaneva come congelato nel passato.
RISCOPERTO DALLE SUORE GIAPPONESI !
Verrebbe da pensare che Bandipur sia stato riscoperto e salvato dal turismo, invece a ripopolarlo è stato un evento piuttosto curioso: la costruzione di una grande scuola da parte di una comunità di suore cattoliche giapponesi. Già di per sè le suore giapponesi sono una rarità, non chiedetemi come siano arrivate in Nepal e come sia venuto loro in mente di aprire una scuola in un paesino semi-abbandonato di montagna. Fatto sta che la scuola superiore di “Notre Dame” è diventata un centro importante per l’istruzione degli abitanti di tutta la valle e uno dei migliori del Paese intero e Bandipur è tornata ad essere un centro vitale.
Il turismo è arrivato poi, attratto dalla bellezza dello scenario naturale che circonda Bandipur e dalla splendida atmosfera di questo gioiello intatto.
I turisti sono tanti, e vi fanno base per il trekking tra i monti, ma per fortuna non si tratta di un turismo di massa, non ci sono fast food, insegne luminose, negozi di souvenir imbarazzanti. Bandipur è riuscita a rimanere se stessa.
I bambini giocano allegri sulla strada, le vecchie siedono sugli usci delle case o sostano affacciate alla finestra, gli alloggi sono tutti piccoli bed and breakfast o case di privati che mettono a disposizione alcune stanze, la sera, quando fa freddo, alcuni si radunano davanti a piccole stufette a legna, fuochi accesi sul bordo della strada.
I PELI DELLA CODA E LA TERRA COME ANTISETTICO E LA CUCINA A CACCA DI MUCCA
Anche le case più umili rispetto a quelle della via principale, sono molto interessanti. Noto ad esempio che molti edifici, poverissimi al loro interno col pavimento di terra battuta, presentano alla base una fascia rossastra di circa un metro, e che le donne ogni mattina, con la schiena piegata a 90 gradi, spazzano accuratamente con una scopa dalle lunghe setole quel muro e tutta la terra davanti a casa.
Scopro che le scope sono fatte con i peli della coda della mucca, considerato un potente antisettico, così come la terra argillosa che ricopre i muri. Le donne non spazzano semplicemente, disinfettano l’ambiente con l’argilla!
A fianco alla casa un piccolo pozzetto con una macina e un tubo infossato è, udite bene, una cucina a metano alimentata dalle pagnottelle secche di cacca di mucca! Un metodo rispettoso dell’ambiente, economico ed efficiente per ottenere gas che è vecchio di secoli e che sta venendo riscoperto come novità tecno-.ecologista anche in alcune zone rurali dell’Europa.
L’ALBERGO DALLE FINESTRE SENZA VETRI E IL DAL BHAT, PIATTO UNICO NEPALESE
Una menzione speciale merita l’albergo dove ho alloggiato, il Bandipur Old Inn, ricavato da un palazzetto Newari, rimasto intatto con i suoi pavimenti di cotto e le travi di legno, tutto arredato con mobili originari d’epoca, con le antiche piccole finestre tradizionali senza vetri e le imposte che lasciano passare l’aria gelata di montagna.
In compenso insieme alle chiavi della stanza ti danno una borsa dell’acqua calda coperta di lana.
Qui ho mangiato il miglior cibo nepalese di tutto il viaggio. Il confronto tra i vari pasti è molto semplice: il piatto nepalese praticamente è solo uno ovunque, ma le differenze di gusto si colgono eccome.
Il Dal Bhat è un piatto unico composto da una serie di piccole ciotole servite su un vassoio tondo di metallo, che contengono un set di alimenti standard: zuppa di lenticchie, riso, curry di verdure, spinaci, carne al curry, yogurth. In fondo è un piatto completo, con tutti gli elementi nutritivi necessari,frutto della saggezza popolare. Impossibile ottenere cibo cucinato senza spezie e senza in particolare l’onnipresente curry. Ma qui anche quel piatto monotono è diventato molto buono, merito forse del migliore yogurth che abbia mai assaggiato.
L’ALBA A BANDIPUR
L’alba a Bandipur è uno dei momenti migliori, in cui si apprezza la magia di questo luogo. Dal punto più alto del Paese si apre un magnifico panorama verso il basso della valle e verso l’alto delle catene innevate. Diversi punti di verde e di grigio emergono lentamente dalla nebbia, le nuvole sono sospese a mezz’aria, le vette immacolate svettano in lontananza e a stento si coglie dove finisce la terra ed inizia il cielo.